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Minacce

Le tartarughe marine sono minacciate da numerose attività umane come l’inquinamento, la degradazione dei siti di nidificazione, il turismo, le collisioni accidentali con i natanti, le catture accidentali e intenzionali di individui per il consumo di sangue e carni o per la vendita del carapace nei mercati illegali. Uno dei fattori principali che determinano la diminuzione delle popolazioni è rappresentato dall’interazione accidentale delle tartarughe con le attrezzature da pesca. 

La Convenzione di Barcellona ha adottato un piano d’azione per la conservazione delle tartarughe marine in Mediterraneo nel 1989, rivisitato poi nel 1998-1999 e nel 2007 (UNEP MAP RAC/SPA, 2007), riconoscendo che l’attività da pesca è uno dei più impattanti fattori antropici responsabile della morte delle tartarughe marine in Mediterraneo, e che la loro conservazione necessita di speciali priorità. Sia Caretta caretta  che Chelonia mydas, le uniche due specie nidificanti in Mediterraneo, sono classificate come endangered, cioè in pericolo, mentre Dermochelys coriacea è classificatacome critically endangered nella IUCN Lista Rossa delle Specie Minacciate.

Caretta caretta presenta tre fasi ecologiche di vita: una fase pelagica, quando soprattutto le giovani tartarughe frequentano prevalentemente le acque del largo nutrendosi di prede pelagiche; una fase demersale, quando esemplari giovanili, sub-adulti e adulti migrano vicino al fondo marino per nutrirsi di prede bentoniche; una fase neritica intermedia, quando le tartarughe passano da areali di alimentazione pelago-oceanici a areali bento-neritici.

L’impatto delle diverse attività di pesca sugli esemplari di Caretta caretta  in Mediterraneo, è strettamente dipendente dalle fasi ecologiche di vita della specie e dall’ambiente in cui queste attività vengono condotte. La distribuzione degli individui di Caretta caretta in Mediterraneo non è omogenea, al contrario la batimetria e le caratteristiche ambientali di aree differenti (temperatura, disponibilità di cibo) determinano la distribuzione della specie e la sua abbondanza.

I differenti tassi di cattura registrati per ciascun tipo di attrezzo da pesca dipendono dalla modalità di utilizzo dello stesso e dalle caratteristiche ecologico-comportamentali di Caretta caretta, anche in relazione alle diverse fasi del ciclo vitale. Questo fa si che attrezzi diversi determinano anche tassi di mortalità diretta e ritardata differenti.

Reti a strascico

Nella fase di vita demersale, gli esemplari di Caretta caretta in Mediterraneo prediligono e si concentrano in aree di piattaforma continentale caratterizzate da profondità in genere inferiori a 50. In tali aree le tartarughe trascorrono gran parte della giornata sul fondo alla ricerca di cibo. Queste abitudini della specie fanno si che in questa area le tartarughe vengano accidentalmente catturate soprattutto dalle reti a strascico. Infatti, il nord Adriatico, zona di piattaforma continentale, in cui raramente si registrano profondità superiori ai 50 metri,  è caratterizzato dalla presenza di fondali lisci, molli e previ di asperità (substrati rocciosi), per cui le risorse sono facilmente accessibili allo strascico, e questo spiega il perché questa attività di pesca sia molto diffusa in questa area del bacino. Dunque, operando lo strascico sul fondo e nelle stesse aree in cui si concentrano gli individui di Caretta caretta durante la fase di vita demersale, molto elevato è il tasso di cattura accidentale registrato  per questo attrezzo. Generalmente gli individui più grandi di Caretta caretta si nutrono di prede bentoniche, e questo spiega il motivo per cui le reti a strascico catturano maggiormente individui di maggiori dimensioni, sebbene, oltre agli adulti, elevato è anche il numero catturato di giovanili e sub-adulti. Essendo il tempo di durata della cala molto limitato in Adriatico (raramente si supera l’ora e mezza di strascicata), questo fa si che la tartaruga rimanga in condizioni di apnea forzata per un tempo relativamente breve, e ciò spiega i bassi tassi di mortalità diretta riportati per lo strascico. Condizione simile al nord Adriatico si ritrova lungo la piattaforma continentale di Libia e Tunisia, presso il Golfo di Gabès e nelle coste turche. Nelle reti a strascico i tassi di mortalità osservati, oltre che dai danni fisici causati dall’impatto con le diverse parti dell’attrezzo (che può portare alla morte della tartaruga), sono dovuti dal tempo di permanenza sott’acqua: il rischio di annegamento degli animali, anche se capaci di prolungate apnee, in condizioni di stress e limitazione di movimento risulta elevatissimo. Pertanto la mortalità diretta è in genere bassa, ma la mortalità ritardata, specie se l’animale viene rilasciato immediatamente in mare, potrebbe essere molto elevata.

Palangari

Per quanto riguarda i palangari derivanti il loro utilizzo, invece, risulta più impattante nel Mediterraneo centrale, area frequentata da tartarughe in migrazione dal bacino occidentale a quello orientale e vice versa. Questa migrazione interessa anche le acque italiane, con le tartarughe marine che attraversano lo Stretto di Messina e il Canale di Sicilia. Quindi sia giovanili che adulti in migrazione potenzialmente possono restare allamati all’amo dei palangari derivanti utilizzati in questa zona del Mediterraneo, durante la fase di vita pelagica; nello specifico i giovanili perché passano i primi anni della loro vita nella colonna d’acqua seguendo il grande sistema di correnti, mentre gli adulti perché, quando raggiungono la maturità sessuale, durante la stagione riproduttiva ritornano temporaneamente a una fase di vita pelagica. Nel complesso sia i palangari di fondo che derivanti sono responsabili di una mortalità totale del 40% delle tartarughe marine catturate accidentalmente in Mediterraneo.

I differenti tassi di mortalità diretta osservati per i palangari derivanti e di fondo sono spiegati dal fatto che nei palangari derivanti gli individui di Caretta caretta rimasti allamati, possono in qualche modo raggiungere la superficie per respirare; per questo motivo gli esemplari di Caretta caretta catturati con i palangari derivanti raramente sono rinvenuti morti al momento del recupero dell’attrezzatura da pesca . Al contrario, nel palangaro di fondo gli esemplari allamati spesso risultano già morti al momento del recupero dell’attrezzatura, perché una volta che abboccano all’amo non riescono a nuotare fino alla superficie per respirare, e pertanto sono costretti a tempi di apnea forzata  troppo elevati.  

La mortalità post-cattura o ritardata osservata nei  palangari, causata dalle ferite procurate dagli ami rimasti impigliati al corpo dell’animale o addirittura ingeriti, può essere molto elevata.

L’amo ingerito può localizzarsi in punti differenti del tratto digestivo (bocca, esofago, stomaco, intestino, etc.); in particolare, se l’amo ingerito si localizza nella parte più bassa dell’esofago o nello stomaco la probabilità di sopravvivenza della tartaruga è molto bassa, al contrario, la presenza di ami localizzati nella bocca o nella parte superiore dell’esofago incide meno sulla capacità di sopravvivenza della tartaruga, anche se un amo localizzato nella bocca può compromettere in parte la capacità di alimentarsi, specialmente se impedisce la chiusura della bocca. Un altro problema per la sopravvivenza delle tartarughe consiste nel fatto che, al momento del recupero dell’attrezzatura, i pescatori generalmente tagliano la lenza legata all’amo direttamente dall’imbarcazione senza portare la tartaruga marina a bordo, per un risparmio di tempo ma soprattutto perché le tartarughe sono molto pesanti, in questo modo la lenza, molto lunga, e legata all’amo causa la morte della tartaruga dopo parecchi giorni, in quanto il filo di nylon si va ad avvolgere allo stomaco, una volta ingerito. Nelle buone prassi da utilizzare per il rilascio delle tartarughe, nel caso di ami che non è possibile rimuovere dall’animale, si suggerisce di tagliare il bracciolo molto vicino all’amo impigliato alla tartaruga, al fine di ridurre la possibilità di morte ritardata.

Reti da posta

Per quanto riguarda le reti da posta, i dati relativi alle catture accidentali di tartarughe marine sono piuttosto scarsi e poco attendibili; questo è determinato essenzialmente dall’elevato numero di imbarcazioni dedite a questa attività di pesca in Mediterraneo e dal fatto che queste imbarcazioni sono disseminate lungo la costa anche in assenza di siti di approdo ufficiali. Questa situazione fa si che la raccolta di dati nel bacino Mediterraneo sia piuttosto difficoltosa. 

Nelle reti da posta fissa, che sono ancorate al fondale, l’elevato tasso di mortalità diretta registrato è determinato dal fatto che le tartarughe rimangono impigliate nelle reti mentre cercano di depredare il pesce precedentemente catturato, e annegano non potendo nuotare verso la superficie per respirare. Inoltre, l’elevata temperatura dell’acqua associata a un elevato tasso metabolico, può ridurre drasticamente la capacità di resistenza a una condizione di apnea forzata. Se la tartaruga è rimasta impigliata solo da breve tempo al momento del recupero dell’attrezzatura da pesca, essa può in rari casi essere ritrovata viva, ma generalmente le tartarughe che incappano in questo tipo di reti sono morte al momento del recupero dell’attrezzatura, in quanto le reti vengono piazzate nell’area di pesca al tramonto e recuperate il giorno dopo, se non addirittura dopo alcuni giorni.

Casi di mortalità post-cattura si verificano quando tartarughe accidentalmente incappate nelle reti da posta fissa dei pescatori sono ritrovate vive e poi rilasciate libere in mare, ma se rilasciate con pezzi di rete attaccati al loro corpo ciò può essere la causa della mortalità post-cattura.




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